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ico title sx Real Madrid–Pachuca. Primo uso del protocollo FIFA contro il razzismo in campo ico title dx

Approfondimenti

Il rispetto sta bene ovunque ma non tutti sanno guardare bene nel guardaroba.

Nel calcio, come nella vita, a volte dietro una divisa scintillante o una maglia di una grande squadra si nascondono ancora pregiudizi antichi, ignoranza e discriminazioni che si vorrebbero ormai superate. L’episodio accaduto durante Real Madrid–Pachuca, durante il Mondiale per Club ancora in corso, con l’attivazione per la prima volta del protocollo “No racism gesture”, ci ricorda drammaticamente che il rispetto, seppur universalmente auspicato, non è ancora una realtà consolidata.

Il calcio, simbolo globale di unione e passione, avrebbe dovuto da tempo diventare un esempio di inclusione, soprattutto per l’enorme seguito che ha. Eppure, come dimostra la denuncia di Rudiger, difensore dei Blancos contro gli insulti razzisti che ha lamentato di aver ricevuto da Antonio Cabral, giocatore della squadra messicana, il razzismo continua a trovare spazio tra i protagonisti del gioco. L’arbitro, incrociando le braccia a forma di “X”, ha dato vita a un gesto che non è solo simbolico, ma parte di un protocollo ufficiale FIFA, presentato nel maggio 2024 al Congresso di Bangkok, pensato per contrastare efficacemente queste ingiustizie.

Il “No racism gesture” prevede tre fasi progressive, dalla semplice segnalazione all’interruzione definitiva della partita, passando per l’annuncio pubblico allo stadio e il ritiro delle squadre negli spogliatoi. Questa codifica, nata per dare strumenti concreti all’arbitro contro il razzismo, testimonia come ancora oggi sia necessario un intervento formale per tutelare la dignità umana.

Fa riflettere che, in uno sport che dovrebbe basarsi sui valori della lealtà, della squadra e del rispetto reciproco, ci si debba affidare a un protocollo per ricordare che ogni persona — indipendentemente dal colore della pelle o qualsivoglia altra differenza — merita dignità. L’attivazione di questo meccanismo segna un passo avanti importante, ma anche un’amara conferma: il calcio, e la società in generale, devono ancora fare molta strada per liberarsi definitivamente da pregiudizi che si pensava appartenessero al passato.

Rüdiger, già protagonista di numerose battaglie contro il razzismo, ha rappresentato con il suo coraggio e la sua denuncia la voce di chi non vuole più tacere. L’arbitro ha invece mostrato che il “No racism gesture” non è solo una formalità, ma un impegno concreto e tangibile.

Ora, il calcio deve continuare su questa strada, affinché un giorno non servano più tre fasi per difendere ciò che dovrebbe essere la base di ogni rapporto sportivo e umano: la curiosità di apprendere dall'altro e non la voglia di umiliarlo.

Daniele Piersanti