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ico title sx Bryan Charnley e la sua schizofrenia nei quadri ico title dx

Approfondimenti

La malattia mentale è una condizione esistenziale che prosciuga di ogni energia chi ne soffre, che opprime e logora, ma cosa succede quando essa si mischia al genio, al talento, che già da soli rendono capace una persona di vedere più sfumature rispetto agli altri?

Questo è il caso del pittore britannico Bryan Charnley.

L’uomo nacque nel 1949 a Stockton-on-Tees, nel Regno Unito. La sua intera vita fu avvolta dal demone della schizofrenia paranoica che lo portò ad essere afflitto da deliri di persecuzione e allucinazioni uditive.

L’unico modo che Charnley riuscì a trovare per assottigliare il muro tra le sue irreali produzioni mentali e la vera quotidianità, fu la pittura. Attraverso lei, scoprì uno strumento per affrontare i sintomi della patologia e dare respiro all’anima. Nel 1982 però, un evento tragico segnò un’esistenza già difficoltosa. La sua compagna, Pam Jones, tentò di farla finita gettandosi da una finestra, ma non riuscì a trovare la morte rimanendo tuttavia paralizzata.

Il fatto non fece altro che peggiorare i tormenti e in uno dei suoi tanti ricoveri, Bryan, incontrò la psichiatra Marjorie Wallace che gli consigliò di scrivere anche un diario oltre alla pittura quando percepiva la sua mente così affollata da non riuscire a scappare da se stesso.

Terapia farmacologica pesante, diario e arte, furono un mix che almeno per un po’ fecero respirare il talento britannico ma dopo poco tempo un’altra ricaduta.

Bryan decise di ridursi autonomamente i farmaci così le allucinazioni, i pensieri di paura senza una causa certa, tornarono più forti di prima e, in preda al dolore più profondo, iniziò a raffigurare un’ultima collezione di autoritratti per testimoniare le distorsioni e le percezioni che provava in ogni attimo. Annotò anche tutti i passaggi sul famoso diario che la Wallace gli suggerì. L’insieme di opere e di pagine intasate di scritte, diedero come risultato i suoi famosi 17 autoritratti, composti dall’11 aprile al 19 luglio 1991. Quest’ultima data fu anche quella della sua morte.

Il pittore si tolse infatti la vita durante la composizione della sua opera finale tanto che è e rimarrà un mistero se quei colori e quelle linee rappresentassero il quadro completato o l’artista avrebbe inserito ulteriori dettagli di lì a poco.

Rimangono in quelle tele la fragilità di una persona, il tormento, il silenzio di opere urlanti, di un artista che chiese di capire tramite i suoi lavori, ciò che non riuscì ad esprimere a parole.

Daniele Piersanti